Facebook e la società dei like

Introduzione

Il social network Facebook nasce nel 2004 dall’ idea di un giovane studente di Harvard, Marck Zuckemberg.

L’allora diciannovenne, crea Facebook, nell’ intento di costruire una versione on-line dell’annuario dell’università. A  cinque settimane dal lancio, la nuova piattaforma è già utilizzata da più della metà degli studenti e ciò convince Mark, ad estenderne l’uso anche agli atenei di Yale, Columbia e Stanford.

Nel 2006 Facebook arriva a contare 12 milioni di utenti, questa inarrestabile ascesa attira l’attenzione dei grandi colossi della comunicazione.

Microsoft, tra il 2007 e il 2008 sborsa 475 milioni di dollari, con cui si assicura una piccola quota di partecipazione nel capitale e consente a Facebook di finanziarsi lo sviluppo globale.

Dal 2009 Facebook è diventato il social network più utilizzato al mondo e può essere considerato come “paradigma originario” per l’analisi di alcune dinamiche psicologiche della screen-generation.

Aspetto storico/sociologico

La peculiarità di Facebook sta nell’essere profondamente centrato sulle persone, è una nuova forma di comunicazione che grazie alla sua penetrazione così capillare, sta radicalmente  modificando il nostro modo di comunicare, relazionarci, interagire, vendere e pubblicizzare prodotti, sta modificando la natura dell’attivismo pubblico, ed è uno dei terreni più battuti per il dibattito politico e le varie campagne elettorali.

Aspetto psicologico/patologico

Il 13 novembre 2017 Chamath Palihapitiya, ex vice presidente di Facebook e protagonista attivo del successo di quest’ultimo; nell’ ambito di un’ intervista davanti gli studenti della Stanford University si è lasciato andare a delle dichiarazioni piuttosto lapidarie sul social più famoso del mondo.

Egli infatti ha dichiarato :«Gli stimoli a breve termine che abbiamo creato, basati sulla dopamina, stanno distruggendo il modo in cui la società funziona» Con questa affermazione Palihapitiya, ci sta dicendo, che questi strumenti, di fatto ci stanno “drogando” sottoponendoci al sistema dopaminico, che impedisce la riflessione.

Questi sistemi accelerano la velocità del nostro pensiero, che, a questa velocità, cessa di essere un pensiero e assume i tratti in un riflesso automatico.

Dice ancora Palihapitiya: « Organizziamo le nostre vite attorno questo senso di perfezione percepito, Siamo premiati da questi impulsi a breve termine(…)confondiamo tutto questo con i valori, confondiamo tutto questo con la verità, e  invece ciò di cui si tratta è una falsa e fragile popolarità, ed è a breve termine e questo ci lascia ancora di più, ammettiamolo, sospesi e vuoti, prima ancora di comprenderlo »

Pensare, significa anche soppesare, dare un peso, avere una gerarchia di priorità. Nel momento in cui smettiamo di farlo, tutto assume la stessa rilevanza, mettiamo tutto sullo stesso piano, tutto diventa relativo e viviamo alienati da noi stessi in balia del giudizio altrui.

Aspetto educativo

Ma allora che fare!? Sempre nella stessa intervista l’ex vice presidente di Facebook dichiara di non poter fare nulla se non prendere la decisione di non utilizzare più quel dispositivo.

Credo non sia possibile sfuggire da questo continuo “abbraccio” delle tecnologie, a meno di non sfuggire dalle tecnologie stesse, ritirandoci ad una vita eremitica e diventando degli emarginati sociali.

Penso invece che un educatore oggi non possa esimersi dall’ammettere (RICONOSCERE) l’enorme potenziale comunicativo espresso dai new media e attivarsi per valorizzare al massimo questa opportunità. La rotta da seguire è quella che punta dritta ad orientare la navigazione dell’adolescente che comunque è già immerso, per non dire travolto, dal cyber spazio, integrando comunicazione ed educazione.

L’educatore dell’era social, credo debba configurarsi come attore riflessivo( RIFLESSIVITA’) e ri-generatore di legami, chiamato a suscitare nei ragazzi la capacità di leggere gli effetti del proprio operare, nell’operare degli altri all’interno della rete. L’obbiettivo è quello, attraverso la riflessività di creare una RICAPACITAZIONE che apra a nuovi scenari atti a comporre nuovi stili di vita digitali.

L’educatore si pone quindi come stimolatore di modelli alternativi che producano un’identificazione prima affettiva e poi razionale  dando vita a nuovi stili di vita, più sostenibili.

Conclusioni

Immersi in questa saturazione che ci annebbia la vista e confonde i sensi, iper – stimolati in tutto e per tutto possiamo ancora fare qualcosa. Abbiamo ancora una risorsa, forte, potente, strutturale e inalienabile: la libertà di scelta. E’ il nostro libero arbitrio che ci permette di scegliere se lasciarci travolgere, o lentamente educarci a governare l’immenso potenziale dei mezzi di cui disponiamo oggi . La conoscenza è il primo passo per creare consapevolezza, che è poi il terreno in cui l’educatore è chiamato a “sporcarsi le mani” perchè è il terreno stesso nel quale verranno piantate le radici dei nuovi alberi.