Phubbing

Introduzione

La tecnologia ha i suoi pro e contro: dibattiti e convention si popolano di discussioni animate con protagonisti assoluti gli smartphone di ultima generazione. Quante volte vi è capitato di trovarvi a cena, in un locale o anche solo sul tram la mattina e avere di fronte a voi un amico o un conoscente che, mentre parlate, non vi presta attenzione ma continua le sue attività social sul cellulare? Questo modo di fare si è trasformato prima in uno spiacevole trend, poi in un fenomeno di massa e, proprio come l’ultima novità del momento, ecco un nuovo vocabolo da aggiungere al dizionario di tutti i giorni: phubbing.

Aspetto storico/sociologico

Il phubbing combina i termini inglesi phone e snubbing, ossia il nome telefono e il verbo snobbare, ignorare, trascurare: si tratta di un verbo nato per indicare l’atteggiamento, assai poco cortese, di trascurare una persona con cui si è impegnati in una qualsiasi situazione sociale controllando compulsivamente lo smartphone. Questo termine è stato inventato a seguito di una campagna promossa da un dizionario australiano, il Macquarie Dictionary, all’interno della quale un gruppo di autori, poeti ed esperti di linguistica fu invitato a coniare un nuovo termine per indicare questo tipo di comportamento. 

La ricerca non ha tardato ad analizzare il fenomeno e un nuovo studio, condotto da un’équipe di psicologi dell’Università del Kent e pubblicato sulla rivista Journal of Applied Social Psychology, ne ha confermato le prevedibili implicazioni negative: il phubbing andrebbe a peggiorare in maniera significativa la comunicazione e la relazione tra persone.

I partecipanti allo studio, 153 studenti universitari, hanno assistito a una scena di 3 minuti che coinvolgeva l’interazione tra due persone, con la richiesta di identificarsi con uno dei due protagonisti. Ogni partecipante veniva assegnato a una fra 3 condizioni sperimentali: nessun phubbing, phubbing leggero o phubbing massiccio. I risultati? Più il livello di phubbing aumentava, più i soggetti percepivano che la qualità della relazione era peggiore e la relazione diveniva insoddisfacente.

Aspetto psicologico/patologico

Gli autori del precedente studio hanno caratterizzato il phubbing come una vera e propria «forma di esclusione sociale», capace, quando lo si subisce, di «minacciare alcuni bisogni umani fondamentali, come l’appartenenza, l’autostima, il senso di realizzazione e il controllo». Sottolineano inoltre che il phubbing, a differenza di altre forme di esclusione sociale “può avvenire ovunque e in qualsiasi momento quando qualcuno afferra il proprio smartphone e ignora il proprio interlocutore”. 

Un altro motivo per cui ci si dedica al phubbing è che rivolgere l’attenzione allo smartphone ci toglie dall’imbarazzo di tante situazioni tipiche delle relazioni, come il non sapere cosa dire, il dover affrontare emozioni che preferiremmo evitare, il dover guardare negli occhi le altre persone. I dispositivi digitali stanno diventando nemici della conversazione. Evitare la conversazione ricorrendo alla messaggistica dello smartphone ci rende più abili nel misurare le parole, ma anche sempre più incapaci a interpretare i desideri e gli stati d’animo altrui. Inoltre, maneggiare il nostro dispositivo ci mette al riparo dalla cosiddetta noia. Siamo troppo abituati a ricevere stimoli di continuo, per poterci permettere qualche minuto da soli con la nostra mente. La nostra attenzione è così stimolata che abbiamo ormai perfino paura di rimanere soli con noi stessi.

Aspetto educativo

Per cercare di arginare il fenomeno del phubbing, per esempio, la famiglia che è l’ambito sociale dove si può fare di più, dovrebbe non solo porre dei limiti (come non permettere che si portino i dispositivi a tavola), ma anche promuovere il dialogo come forma di relazione genitori-figli fin dai primi giorni di vita, inoltre, dovrebbe incoraggiare la vita all’aria aperta e offline. Se da una parte il nostro smartphone serve a metterci in contatto con altre persone geograficamente distanti da noi e quindi ad incrementare le nostre relazioni interpersonali, dall’altra parte dobbiamo fare attenzione a non allontanare le persone che abbiamo vicino. A tale scopo non va sicuramente eliminata la tecnologia, ma vanno ripensati i tempi e i modi con cui la si usa. Quando siamo vicini a persone con cui entriamo in relazione è bene, quindi, mettere via il proprio cellulare per dedicarsi completamente alla connessione in atto nella realtà. Tenendo in considerazione che i social network danno agli adolescenti la possibilità di costruire identità forti e indipendenti, che condividono attraverso i propri diari personali online; l’identità e la popolarità sono gli aspetti più importanti che li fanno sentire più sicuri. Hanno bisogno di costruirsi identità digitali “forti” anche per superare il giudizio dei coetanei presenti nella quotidianità “reale”.

Conclusioni

Per concludere è bene sapere che circa 4 anni fa Alex Haigh è diventato promotore di un’iniziativa che in molti hanno accolto, contro il phubbing ideando una campagna comunicativa e un sito web contro il fenomeno.

Sul sito stopphubbing.com viene riportato una descrizione di questa problematica e un sondaggio dove si può votare a favore o a sfavore del phubbing.

Attualmente (07.01.2019) i dati riportano 2373 votanti totali con il 75% di voti a favore del phubbing e solamente il 25% totalmente contrario a questo fenomeno. Inoltre il sito riporta una serie di dati significativi come: “il 97% delle persone dichiara che il cibo ha un sapore peggiore mentre sono vittime del phubbing” o “l’87% dei ragazzi preferisce una comunicazione via messaggio piuttosto che faccia a faccia”. Il sito, inoltre, illustra una mappa del mondo dove, al di sotto di questa, vengono elencate le 20 città dove è maggiormente diffuso il fenomeno del phubbing. In vetta alla classifica troviamo New York, Los Angeles, Londra, Parigi e Hong Kong. 

Da questa iniziativa di Alex Haigh si evince come il phubbing non deve diventare un’abitudine accettata. Non si può sicuramente tornare indietro perché ormai la tecnologia è andata avanti, ma allo stesso tempo non possiamo farci dominare da quest’ultima diventando esseri passivi alla realtà che ci circonda.

Per evitare questo è da noi stessi che dobbiamo cominciare e ammirare il mondo “like real people do”.